Crescere un figlio è avere fiducia nel futuro. E noi abbiamo bisogno sia di fiducia che di figli che di futuro. Nel 2020 si è raggiunto il punto più basso della storia d’Italia, con 408 mila nuovi nati, mentre nel 1964 erano 1 milione e 16 mila. E gli effetti della pandemia in termini di precarietà economica ed incertezza sul futuro rischiano di abbattere ulteriormente questi dati.
Il problema è che la piramide demografica italiana al 2035 descrive un paese nel quale la fascia “bassa” – quella dei giovani – è sempre più esigua mentre la fascia “alta” – quella degli anziani – è sempre più numerosa. Così non si può andare avanti. È in gioco la sostenibilità sociale, il livello di cura e servizi che vogliamo per noi e per i nostri figli.
Per questo, la costruzione di una famiglia deve poter essere un obiettivo raggiungibile per tanti, un progetto di vita che non ostacola la realizzazione individuale ma anzi la amplifica.
Per farlo, serve dare autonomia ai giovani, alzare il numero delle donne lavoratrici con un sistema di servizi che sia costruito innanzitutto attorno alle loro esigenze, introdurre una nuova cultura aziendale aperta ai tempi e ai bisogni delle famiglie, prevedere una fiscalità vantaggiosa per le famiglie più numerose, ridurre lo squilibrio tra uomini e donne nell’impegno domestico e nella crescita dei figli. Insomma, costruire una società a misura di famiglia.
Le donne abbandonano meno gli studi, hanno voti più alti e si laureano più in fretta dei colleghi uomini. Eppure, nonostante curriculum migliori, lavorano meno e con stipendi più bassi. E questo perché sulle donne pesa un carico di lavoro aggiuntivo, quello della cura in ambito familiare.
Secondo i dati della Commissione europea, la cura dei bambini e dei familiari che necessitano di assistenza costituisce la prima causa di inattività delle donne (oltre il 18%), mentre per gli uomini incide in meno del 2% dei casi.
A differenza del passato, oggi si fanno più figli dove è più alta l’occupazione femminile, perché le famiglie sentono il bisogno di due redditi per maturare quella sicurezza economica che favorisce la scelta di diventare genitori. Per questo l’obiettivo non deve essere quello di pagare le donne per rimanere a casa a curare i figli, ma offrire alle donne opportunità di lavoro e di carriera insieme da un lato a servizi adeguati e politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro – per prima cosa, asili nido e doposcuola garantiti a tutti – dall’altro da un maggiore impegno degli uomini nella cura della casa e dei figli. Le donne hanno un talento che va messo a frutto, per loro, per le loro famiglie e per tutta la società.
Occuparsi di politiche per la genitorialità significa fare qualcosa di complicato – perché non basta una misura singola a cambiare le cose – e che non darà risultati nel breve periodo.
Quindi? Prima si parte e prima si vedono gli effetti di quelle politiche. Prendiamo esempio da chi ci ha creduto e l’ha fatto già negli anni scorsi, come la provincia autonoma di Trento e il suo marchio di qualità per tutte le attività pubbliche e private che – rispettando una serie di requisiti – vogliano diventare “a misura di famiglie”.
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